La cosiddetta Autonomia scolastica, messa a punto dalla Riforma Berlinguer nel 1999, ha scaraventato l’istruzione pubblica italiana in un baratro senza fine. I mass media, però, si sono ostinati ad occultare sistematicamente gli espedienti, le motivazioni e le finalità di questa perversamente geniale trasformazione del mondo della Scuola in una gigantesca azienda, in una colossale e vergognosa fabbrica dell’ignoranza dei molti e del profitto economico dei “soliti pochi”, che ormai persegue gli stessi identici obiettivi di una banca o di una multinazionale. Quello che segue è l’ottalogo che riassume alcuni dei punti fondamentali dell’allucinante progetto tramite cui, questa diabolica distruzione della cultura di un Paese, è stata meticolosamente messa in atto, nel corso degli ultimi quindici anni.

 

 

1. Elaborare e mettere in atto un Sistema scolastico in virtù di cui ogni Istituto sia, almeno in apparenza, AUTONOMO. Soprattutto da un punto di vista economico: ogni istituto riceverà infatti ogni anno un tot di soldi con cui dovrà gestirsi autonomamente nel corso dell’intero periodo;

2. Far dipendere però i finanziamenti ministeriali destinati annualmente a ciascuna scuola, dall’effettivo numero di studenti iscritti e dalle strategie opportunamente approntate per “attirarli”. Meglio ancora: attenuare progressivamente la differenza tra “pubblico” e “privato”, consentendo agli imprenditori che monopolizzano la politica del Paese di influenzare la didattica attraverso i propri fondi, così da permetter loro di investire proficuamente nel sistema istruzione sia per ricavarne guadagni diretti, sia per plasmare la mentalità e la formazione dei giovani che diventeranno i loro futuri dipendenti;

3. Spingere così i singoli Istituti scolastici statali a competere tra loro per accaparrare “clienti”, elaborando Progetti sempre più accattivanti, settimane corte, viaggi, corsi aggiuntivi stimolanti e non impegnativi (il tutto con enormi guadagni da parte delle aziende private dislocate nel territorio) e, contemporaneamente, attenuando sempre più i carichi di lavoro degli alunni, la severità delle verifiche e delle norme disciplinari a cui attenersi e, di conseguenza, abbassando radicalmente la media annuale degli alunni respinti.

4. A tale scopo, trasformare i Presidi in “Dirigenti” concentrati soprattutto sugli aspetti economici e burocratici delle loro scuole. Dirigenti ben consapevoli dell’importanza di aumentare, di anno in anno, il numero di studenti ottenendo in cambio più fondi per l’Istituto e, per questo stesso motivo, il più possibile schierati con le famiglie e con gli studenti contro i docenti “troppo esigenti”. Dirigenti che, come tali, non godono di alcuna tutela sindacale e che quindi possono essere ricattati “dall’alto”, tenuti costantemente sotto la minaccia di venir sospesi, se non trovano il modo di indurre la maggioranza dei loro Collegi docenti – con ogni mezzo e con qualsiasi forma di ricompensa – a votare quei provvedimenti che il Ministero pretende, ma che, per salvare le “democratiche apparenze”, debbono risultare “decisi dal basso”. Dirigenti “blindati”, tanto ricattabili “dall’alto” quanto inattaccabili “dal basso”, autorizzati dal Ministero a comportamenti anti-sindacali (come il mancato pagamento di permessi o congedi retribuiti, o come – in concomitanza di uno sciopero – lo spostamento di quelle stesse iniziative contro cui l’agitazione è stata proclamata), indotti così a prendere decisioni anche illegittime nei confronti del personale, nella consapevolezza che i sindacati ufficiali molto difficilmente si metteranno contro di loro. Dirigenti più che certi che, anche nella improbabile eventualità che un loro dipendente si spingesse fino al punto di querelarli per veder tutelati i propri diritti e che, in ragione di ciò, un Giudice decidesse di condannarli, il pagamento dei danni e delle spese processuali non toccherebbe a loro, ma al Ministero, cioè allo Stato. Cioè ai cittadini, lavoratore querelante compreso. Non a caso, sempre più spesso l’insegnante vittima di un’ingiustizia si sente sfidare dal proprio Dirigente Scolastico con frasi del tipo: “Se ritiene, apra pure un contenzioso contro di me“;

5. Screditare di fronte all’opinione pubblica i docenti quanto alle loro conoscenze e alle loro capacità didattiche e educative, sottoponendoli a rigidi controlli, a intimidatorie valutazioni ed ispezioni esterne ed all’esplicitazione e formalizzazione di qualsiasi loro scelta didattica o valutativa tramite sterili e ansiogene griglie, verbali, piani di lavoro, programmi, elenchi di obiettivi didattici e educativi, moduli, ecc. alimentando in essi il timore di eventuali ricorsi da parte di alunni i cui risultati scolastici non soddisfacenti non siano stati ampiamente giustificati. Irregimentare, insomma, ogni attività di docenza in un sistema di regole sempre più soffocanti e puramente formali, ricorrendo anche allo strumento dei “Dipartimenti”, tramite cui il Dirigente possa obbligare ogni insegnante ad attenersi a criteri comuni in ogni suo passo, impedendo così pericolose forme di “individualismo” o di “personalismo” che, a qualunque titolo, possano compromettere – mediante valutazioni non sempre indulgenti o atteggiamenti non troppo permissivi – il progressivo accaparramento di alunni e fondi. Per indebolire al massimo la posizione degli stessi insegnanti nei confronti del Dirigente, precarizzare il più possibile il loro lavoro, così da sviluppare succubanza e sottomissione. Con la complicità dei sindacati, trasformare infine il docente in un impiegato che meccanicamente timbra, “somministra”, applica “griglie”, “recupera”, compila moduli e ri-timbra. In generale dividere i colleghi, indurli a forme di competizione reciproca, ad atteggiamenti delatori, a forme di reciproco boicottaggio, in un clima in cui nessuno osi più dire apertamente ciò che pensa. Atteggiamento, questo, che proficuamente si trasferisce da docenti ad alunni. I quali imparano a scrivere nei temi ciò che vuole l’insegnante, che a sua volta ha predisposto le tracce secondo i parametri del Dipartimento, che ha applicato le norme del Dirigente, che decide secondo l’Ordinanza Ministeriale.

6. Ridurre così l’alunno a cliente da coccolare, vezzeggiare, attirare in tutti i modi, aspettandosi sempre meno dalla sua preparazione, provvedendo costantemente a tentativi di recupero nei confronti delle sue sempre crescenti lacune, perseguendo obiettivi e saperi minimi, tollerando la sua crescente maleducazione. In compenso, valorizzare con appositi crediti le attività che svolge nel tempo libero, ricorrendo in generale a qualsiasi escamotage per alzargli ingiustificatamente la media dei voti;

7. A tale scopo, sostituire il “punteggio” al vecchio voto, così da svuotare la valutazione di qualsiasi valore morale. Un “4” non è più una cosa di cui vergognarsi, al contrario: può diventare in certi casi un’ottima opzione se hai la media dell’ “8” e quel giorno non hai voglia di studiare. Quello che conta, insomma, è il punteggio. Che puoi incrementare anche con l’attività che al pomeriggio svolgi in un campo di calcio o, meglio ancora, in oratorio. Il tuo “4”, se mai, è cosa di cui dovrà dare conto l’insegnante di fronte al Dirigente.

In generale, diffondere nei giovani una mentalità materialistica, finalizzata soltanto a ciò che conviene e al successo economico. Un mettere il punteggio al primo posto che, un domani, si trasformi in un collocare i soldi in cima alle proprie priorità esistenziali. Una mentalità “bancaria”, inculcata da un percorso di studi che si risolve in un banale bilancio di “debiti” e “crediti” da far quadrare a fine periodo. Che si riduce ad una manciata di anni in cui i giovani imparano che ciò che davvero conta è il “punteggio”, da massimizzare ad ogni costo, con qualunque compromesso, così da comportarsi in futuro nello stesso modo quando, invece che con i voti, il potente di turno reputerà necessario comprarseli con i soldi;

8. In questo modo, abituare i ragazzi a studiare poco, conoscere pochissimo, ragionare quasi mai, anche grazie all’ausilio, fortemente incoraggiato, dei media e del loro ossessionante giovanilismo. Formare, insomma, una massa di ragazzi ideologicamente gestibili perché privi di consapevolezza, di conoscenze, di controllo sui propri impulsi (anche grazie all’escamotage di trasformare il vecchio voto di condotta in un punteggio in più, che – per quanto basso – faccia media col profitto e non serva in alcun modo ad influire sul comportamento di studenti sempre meno in grado di autodisciplinarsi e di perseguire disinteressatamente un qualunque principio morale, e sempre più inclini a piegarsi al solo volere di chi percepiscono nelle condizioni di aiutarli ad aumentare il loro personale punteggio).

In quest’ottica, diminuire progressivamente, soprattutto nelle classi terminali, le ore di discipline “pericolose” come, ad esempio, la Filosofia o la Storia, così da evitare ai ragazzi la conoscenza degli avvenimenti passati più o meno recenti e delle loro implicazioni sul caotico e corrotto presente. Per incanalare questa massa di inconsapevoli giovani verso le prospettive lavorative che il sistema politico ed economico che li governa privilegia – anche a discapito delle loro inclinazioni naturali – attivare nelle scuole forme di “orientamento” tese a scoraggiare scelte “indesiderate” o troppo originali, a favore di opzioni “in linea” con le esigenze del mondo imprenditoriale, presentate come più allettanti ed in grado di offrire maggiore possibilità occupazionale.
In definitiva, in tal modo, raggiungere l’obiettivo ultimo di una cittadinanza inconsapevole, ignorante, facilmente corruttibile, culturalmente e politicamente sottomessa, ideologicamente manipolabile.

Cfr. anche gli articoli: P. Ratto, Santa Romana Scuola e P. Ratto, Questa Buona Scuola s’ha da fare, La Bottega del Barbieri

 

(*) Tratto da BoscoCeduo.it